Fondazione Azione Cattolica Scuola di Santità
CATHOLIC ACTION SCHOOL OF SANCTITY FOUNDATION
FUNDACIÓN ACCIÓN CATÓLICA ESCUELA DE SANTIDAD
Pio XI
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Pio XI

NOTE BIOGRAFICHE E ITER DELLA CAUSA

Federico Sargolini

8 maggio 1891, Macerata (Marche) - 2 agosto 1969, Belluno (Veneto)

Don Federico Sargolini (1891-1969), prete di Camerino, Assistente centrale della GIAC dal 1929 al 1955: gli anni del fascismo, della guerra, della Costituzione e della ricostruzione del paese, gli anni di Gedda, Carretto, Rossi… dei trionfi e delle crisi dell’AC e della Chiesa nel mondo. Quando l’AC era il principale strumento di evangelizzazione e pastorale della Chiesa del tempo.Lo studio di questa figura richiede attenzione ad un triplice contesto: l’esperienza associativa, dentro quella ecclesiale, dentro il clima socioculturale e politico del tempo. Qualche informazione sulla sua personale vicenda

Cresciuto in una sana famiglia marchigiana, chiede di entrare in seminario a 10 anni, a Camerino e Fermo respira sia l’aria della tradizione sia quella del rinnovamento. In quegli anni prende forma il suo amore all’AC, come rivela una battuta alla mamma: “Quando sarò prete voglio fondare tanti circoli da far circolare anche te!”.

Ordinato sacerdote nel 1913 da mons. Moreschini, vescovo passionista, direttore spirituale di S. Gemma Galgani, impegnato in maniera intelligente nella restaurazione antimodernista, nella linea di Pio X. I primi incarichi pastorali lo portano in seminario e nelle associazioni giovanili, cappellano militare che matura a fianco di tanti feriti un tratto di carità pastorale che lo accomuna a tanti grandi “preti in guerra” che la Chiesa italiana ricorda. Al ritorno dalla guerra, partecipa da protagonista al risveglio della diocesi: Congresso eucaristico, settimanale diocesano, direttore spirituale in seminario e assistente della Gioventù Cattolica, anche in regione. Nel 1921 si inaugura “Casa Toniolo”, centro propulsore di un’attività di animazione che vede Sargolini ovunque, in diocesi e non solo. Mentre è così attivo, non trascura lo studio e l’aggiornamento.

Gli incarichi nazionali

Nel 1924 è chiamato a Roma come Vice assistente centrale dell’Unione Donne di AC, e dal 1925 anche della FUCI femminile (mentre quella maschile è affidata a Montini: un’amicizia che esaltava la loro complementarità). Nel 1929 diviene Assistente centrale della Gioventù maschile, succedendo a mons. Tardini. E lo sarà fino al ‘55, in un lungo periodo che possiamo analizzare decennio per decennio.

Negli anni ‘30, con Pio XI si afferma la teologia e l’identità pastorale dell’AC, vero cuore del progetto di Chiesa (ritorno della società alla regalità di Cristo), messo però duramente alla prova da incontri e scontri col fascismo, dal comprendere come collocarsi rispetto al Partito Popolare di Sturzo. L’AC offre l’ambiente umano e soprannaturale al respiro vivo della Chiesa, e Pio XI ne sollecita la diffusione in ogni parrocchia e opera, con carattere monolitico e centralizzato, sia sul piano dottrinale che su quello organizzativo.

Con il fascismo la contesa principale è quella relativa all’educazione della gioventù, tra Conciliazione del 1929 (con conseguente ripresa dell’attivismo cattolico) e crisi del 1931. L’AC è il modello di capillare presenza cattolica di massa per la società di quegli anni… e il regime mal lo tollera. Ascoltiamo come Sargolini stesso racconta i momenti cruciali del 30 maggio 1931, quando rischiò l’arresto insieme al presidente Jervolino: “La mattina del 31 di maggio del 1931, verso le 10.30, mi recai in Via della Scrofa, nella sede della nostra Associazione. Il palazzo era circondato da agenti e carabinieri che presidiavano anche l’interno dell’edificio. Sulla soglia un ufficiale cercò di farmi perdere tempo e di vietarmi l’accesso ai piani superiori. Finalmente mi avviai per le scale, dove erano stati scaglionati altri poliziotti e carabinieri in assetto di guerra. Entrando negli uffici trovai i nostri impiegati in stato di fermo mentre, nella stanza del Presidente Jervolino, si era insediato un alto funzionario di polizia che cercava tra le nostre carte le prove del ‘complotto’ e della ‘cospirazione’. Dopo un lungo ed estenuante interrogatorio ci lasciarono andar via ammonendoci sulle conseguenze e selle responsabilità di ogni eventuale azione clandestina da parte della nostra organizzazione, che, ormai, ‘non esisteva più’ e non poteva più essere tollerata. Assieme al Presidente Jervolino e all’avvocato Emilio Rossi mi recai in Vaticano dove ci attendeva Pio XI. Il Papa ci accolse con una grande affabilità, interrotta di quando in quando, da un velo sottile di commozione. Ci chiese a che ora la polizia aveva fatto irruzione nella nostra sede e noi gli rispondemmo che l’episodio era accaduto verso le 9 del mattino. Il Pontefice, allora, si rivolse al Nunzio presso lo Stato Italiano e disse a voce alta: ‘Guardi bene, Lei è andato alle 11 al Ministero degli Esteri e le hanno detto che tutto era tranquillo mentre già da due ore erano entrati in azione. Se lo ricordi. Quelli non sono uomini di onore e sono capaci di tutto…’. Ci disse ancora Sua Santità che la Gioventù Italiana di Azione Cattolica era impedita ma non sciolta. E che bisognava levare il pensiero a Dio perché solo confidando in Lui, la giustizia avrebbe trionfato” . Pio XI protesta con l’enciclica Non abbiamo bisogno, e Sargolini stesso gira l’Italia per diffonderla. Segue un accordo, senza una reale pacificazione: come nota Sturzo, cadono le illusioni degli ingenui circa la possibilità di cattolicizzare il fascismo. Lavorare coi giovani sotto il fascismo significava aver grande equilibrio, coraggio e passione, che mons. Sargolini dimostra ovunque, mantenendosi a distanza dalla lotta politica.

La GIAC di Sargolini si muove tra la FUCI di Montini (più aperta al nuovo, per non fare della cultura uno strumento di conquista, per valorizzare la laicità, ecc.) e la Cattolica di Gemelli (tomista, confessionalizzante, per ricostruire la civiltà cristiana mortificata dal mondo moderno). In AC si confrontano un modello più territoriale e di massa e un modello più francese, di autonomia dei laici e di presenza nei diversi ambienti. Per i Fucini, soprattutto, non serve l’incremento numerico senza la formazione culturale del laicato. Sargolini soffre a fianco di Montini, mentre collabora con Gedda che comunque stima. Coltiva ancora l’attenzione ai movimenti culturali e spirituali europei: movimento biblico, liturgico, approfondimento ecclesiologico

 

Gli anni ‘40: la guerra e la ricostruzione

Nel 1939 viene eletto Pio XII, e Gedda è già presidente della GIAC dal 1934. Con Sargolini operano una paziente riorganizzazione dell’AC, centrata su un’opera di educazione integrale, religiosamente ispirata e nutrita. La GIAC viene formando coscienze giovanili profondamente illuminate dalla fede e alimentate dalla grazia. L’unità tra presidente e assistente viene vissuta come “il sigillo dello spirito soprannaturale che anima l’AC” (Gedda). Ciò mitiga quella che poteva sembrare una crescente clericalizzazione dell’AC con Pio XII: es. parlando non più di partecipazione ma di collaborazione all’apostolato gerarchico della Chiesa, ecc. Scoppiata la guerra, Chiesa e AC non parlano di “guerra giusta” come in passato ma sostengono la linea neutralista. Aldo Moro, nuovo presidente della FUCI dal 1939, sottolinea il profondo significato religioso della pace tra gli uomini. I radiomessaggi del Papa sono ben noti. L’AC, cresciuta di numero con Gedda presidente (da 246.000 soci nel 1930 a 462.000 nel 1943) prepara i futuri quadri. Nel 1943, il 75° dell’Associazione non prevede celebrazioni solenni, ma è vissuto in una instancabile opera di animazione e formazione condotta da Gedda e Sargolini. Per essere pronti a passare, poi, dalla lotta clandestina alla possibilità di assumersi responsabilità dirette nella ricostruzione del paese. Sargolini incontra i soldati, porta a tutti la parola della speranza cristiana: “pregare e prepararsi”. Nel ‘44 Gedda e Sargolini sono ovunque per riprendere contatti con le associazioni, valorizzando la formazione intellettuale, per essere capaci di elaborare proposte sociali e politiche, e di fornire i quadri dirigenti per un’eventuale gestione della cosa pubblica. È dai giovani di Sargolini che escono le forze e le ispirazioni per i nuovi organismi: Acli, sindacati, Coltivatori diretti, partito politico, organizzazione artigiana, organizzazione cooperativistica, ecc. e i primi deputati cattolici alla Costituente e al Parlamento. È una classe dirigente cattolica quasi tutta realmente nuova, formatasi nella FUCI, nel Movimento Laureati, nella GIAC. Si pensi al cd. Codice di Camaldoli che tra il 1943 e il 1945 viene poi pubblicato col titolo Principi dell’ordinamento sociale per la comunità cristiana.

Nel dopoguerra, il cattolicesimo, senza perdere il suo conservatorismo, passa dall’area dell’antidemocrazia a quella della democrazia, non senza diversità tra la linea di Gedda e l’azione politica di De Gasperi. Ma è la Santa Sede a chiedere unità dei cattolici e impegno dell’AC a fianco della DC. Qui il tema si amplierebbe a dismisura, per cui mi limito a cogliere il ruolo e l’azione di mons. Sargolini. Nel 1946 si riformano gli Statuti, Carretto succede a Gedda alla guida della GIAC, il ruolo dei laici riemerge rispetto a quello degli assistenti. Sargolini è il coordinatore, il continuatore, la “mamma” che sa far dimenticare le diversità. È suo merito l’aver unificato la GIAC tra nord e sud, impregnandola di spirito soprannaturale attraverso la stampa, gli esercizi, i corsi, e il servizio di assistenti dinamici, generosi, colti, veramente apostoli. Finché è assistente della GIAC conosce tutti gli assistenti delle diocesi e delle parrocchie italiane, si occupa di tutti, aiuta tutti. I suoi assistenti con gli anni diventano parroci, vescovi, professori di seminario, e lui passa a trovarli, li aiuta a fondare e assistere associazioni, a guidare giovani, a formare dirigenti.

 

I dolorosi anni ‘50

Il 1948 è l’anno dei Comitati civici, della vittoria della DC alle elezioni del 18 aprile, delle solenni celebrazioni dell’80° dell’AC nel mese di settembre (nella notte dei baschi verdi, in piazza San Pietro, davanti a un centinaio di vescovi, al Presidente De Gasperi, Sargolini a mezzanotte inizia la S.Messa, e Carretto rivolge il suo appassionato discorso ai presenti). È la grande epifania delle masse giovanili aggregate da Gedda e Carretto, che però prelude alle crescenti crisi che attraverseranno l’AC poco dopo. Infatti, inizia anche un crescente pluralismo di posizioni, specie in ambito sociopolitico, nel tentativo di leggere la crisi di civiltà che tutti denunciano al termine della guerra. Uomini come Dossetti, Fanfani, La Pira e Lazzati vedono nell’ordinamento democratico occidentale l’occasione di una realizzazione storica integrale della “nuova cristianità” (Maritain), in cui laicità e autonomia della politica consentono una reale incarnazione storica del cristianesimo. Lo scontro con la linea di Gedda e Carretto cresce, e Sargolini, che non può dirlo e scriverlo, nutre vere simpatie per il gruppo di “Cronache sociali” (i professorini) e dentro di sé comincia a distinguersi da Gedda. Nel 1949 anche la condanna del comunismo alimenta la tensione. Gradualmente, nella GIAC si pensa sempre più ad un apostolato indiretto, che rivaluti il ruolo religioso dell’AC, distinguendo le responsabilità della Chiesa nei confronti della realtà politica (come attesta la scelta di appoggiare De Gasperi e non la cd. “operazione Sturzo” nelle elezioni comunali di Roma del 1952).

Dopo la presidenza Jervolino, preparatoria della minuziosa organizzazione imbastita da Gedda, gli anni clamorosi della Gioventù cattolica sono siglati da un ammaliatori di folle: Carlo Carretto. Sargolini è il prete di quelle folle giovanili. Si sceglie vice assistenti centrali con preparazione specifica, ma soprattutto li vuole preti: Don Paoli, Don Nebiolo, Don Catti, Don Casale, Don Lanave, Don Pavoni, ecc. Cerca nelle regioni, chiede ai Vescovi assistenti per le diocesi. Ha cento mani, ma si moltiplica personalmente. In quello scarso decennio che va dalla fine della guerra alla crisi dell’AC, intorno al 1953, lo trovi dappertutto, al grande convegno, nella minuscola associazione, a parlare ai dirigenti, all’avvenimento familiare del socio. Scrive montagne di lettere. A tutti comunica la sua gioiosa partecipazione. Vuole a tutti i costi il bene dell’altro. Sono anni di tensione, che culminano nello scontro tra la Presidenza centrale della GIAC e Gedda, intorno a due diverse concezioni di presenza negli ambienti valorizzando le specifiche vocazioni laicali, piuttosto che la mobilitazione di massa. L’intesa tra Carretto e Gedda si sgretola, per il prevalere dello spirito antifascista in Carretto, che non crede “nei superuomini”. Nel 1952 il presidente Carretto è allontanato, per decisione del card. Ottaviani. Mons. Sargolini, cui compete governare la ripresa, convoca a Roma i dirigenti regionali, racconta le vicende finché regge, poi scoppia a piangere a lungo, senza poter riprendere. Anche il nuovo presidente Rossi opera per il cambiamento, rifiutando una Chiesa impegnata a destra. E il S. Uffizio lo colpisce. Nel maggio 1954 Sargolini deve vivere un altro momento drammatico: con il malloppo nel cuore ricomincia da capo, fedele al lavoro, alla gioventù, alla Chiesa. Con una incomparabile energia, una paziente diplomazia, regge all’urto. Non visto offre l’ultimo servizio alla sua grande opera: la salva. Poi lascia, in silenzio, dopo la tormentata presidenza Rossi, solo quando la barca si è rimessa in sesto. È allora che egli si rivela veramente nel suo grande amore materno. Con le dimissioni di Rossi, siamo negli anni in cui vengono presi provvedimenti nei confronti di don Mazzolari e don Milani. Muore De Gasperi, mons. Montini lascia Roma per Milano. Il quadro, dal quale anche Sargolini sta per uscire, è ormai completamente mutato. Egli visse quel periodo difficile con molto equilibrio, cercando in ogni controversia l’obiettività e facendo leva sugli elementi positivi. Ciò gli consentì di cogliere con immediatezza le ragioni per cui i vari soggetti del mondo cattolico assumevano atteggiamenti diversi, sforzandosi sempre di capire il punto di vista degli altri. Evitando le polemiche e le scelte di campo pregiudiziali, riuscì a promuovere una visione pluralistica dell’apostolato dei laici. Anche davanti alle crisi degli anni di Carretto e Rossi, il suo sorriso non derivava dal disimpegno, ma era frutto della sua valutazione dei tempi nuovi e delle sfide ed opportunità che si ponevano ai laici nella Chiesa. I superiori del tempo non lo capirono: per mons. Tardini la colpa dei fatti del ‘53-’54 non era dei laici, ma di mons. Sargolini che era stato debole con Gedda, Carretto e Rossi. Solo col rinnovamento conciliare la sua opera paziente, silenziosa e tenace ottenne quei riconoscimenti che, mai sollecitati o perseguiti, erano certamente meritati e dovuti. A dimostrazione che il rinnovamento operato da Giovanni XXIII era stato preparato da sacerdoti a lui accostabili per indole e per visione della realtà.

 

L’ultima stagione

Il 27 giugno 1955 L’Osservatore Romano comunica che mons. Sargolini è stato sostituito da don Giuseppe Lanave, da lui spesso proposto. Dal 1955 al 1963 rientra in diocesi, a Camerino, per servire come Vicario generale. Il 4 ottobre 1963 Paolo VI lo nomina vescovo titolare e ausiliare dell’arcivescovo di Camerino, a 72 anni. Il suo stemma è l’antico distintivo dell’AC con la sigla PAS (preghiera – azione – sacrificio). Ascoltiamo le parole di Paolo VI nell’udienza al nuovo vescovo, all’indomani dell’ordinazione: “Siamo qui riuniti per festeggiare S.E. Mons. Sargolini. Dire Sargolini è dire ricchezza di persona, di opere, di sentimenti, di meriti, di generosità. E siamo qui stretti attorno a lui per ripetergli che gli vogliamo bene e per ringraziarlo di tutto quanto ci ha donato in tanti anni di attività. Qui ci sono familiari – credo – parenti, amici, conoscenti di Mons. Sargolini: tutte persone che hanno avuto la fortuna di apprezzare la sua bontà di cuore, la sua capacità di intelligenza e di azione, la sua generosità sacerdotale. Ed è bello ed è giusto che oggi che Mons. Sargolini è stato elevato alla dignità episcopale, ci stringiamo tutti attorno a lui per testimoniargli il nostro affetto, la nostra gioia, la nostra riconoscenza. Dobbiamo veramente essere contenti di questo giorno. Tutti. Perché voglio bene anch’io a Mons. Sargolini, per questo anche io voglio testimoniargli la mia affezione, la mia gratitudine, il mio ricordo… Con questa elevazione alla dignità vescovile, Mons. Sargolini avrà modo di farci ancora più del bene, perché è successore degli Apostoli. E siccome tutta la sua vita è stata un dono agli altri, nella dolcezza, nella pazienza, nella generosità, nel sacrificio silenzioso, sono sicuro che da vescovo, Mons. Sargolini, continuerà ad essere di grande beneficio a tutta l’Azione Cattolica, alla sua diocesi, nella quale continuerà la sua opera di aiuto e di consiglio, a tutti gli amici ed anche ai familiari”. Partecipò al Concilio. Si racconta che un giorno Paolo VI, incontrandolo gli abbia detto: “Ti faccio Vescovo” – “Santità, sono troppo anziano” – “No, no, così entrerai in Concilio. Il Concilio ha tanto bisogno della saggezza degli anziani”. E invece Sargolini accettò perché nel Concilio aveva riconosciuto un’altra giovinezza della Chiesa. Lo conferma un aneddoto raccontato dall’arcivescovo Frattegiani: “Mi ha sempre colpito la grande apertura di spirito di mons. Sargolini. Ha sempre goduto e mi ha sempre incoraggiato quando mi ha sentito in sintonia con le consolanti prese di posizione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Un giorno – si era ancora all’epoca degli accesi dibattiti e i nostri placet e i nostri non placet si ritrovavano all’unisono nei brevi contatti di intervallo – mi colpì la sua sofferenza di fronte all’irrigidimento di un notissimo prelato. Poi gli uscì una battuta che si concluse con una risata e valse a rasserenarlo: ‘E dire che l’ho lanciato io nei convegni nazionali della Giac. Se l’avessi previsto, l’avrei lasciato a casa sua’…!”.

Mons. Sargolini muore nel 1969, a 78 anni di età. Nel 1970 viene commemorato a Camerino da Carlo Carretto, della cui testimonianza riassumo i concetti fondamentali:

“Per me è stata la figura dell’assistente di un movimento giovanile nel mondo contemporaneo… questo prete, così bello, così pulito. Abbiamo vissuto un tempo felice, ma veramente unico nella storia del cattolicesimo italiano, che riassumo in un suo modo di esprimersi: ‘Se gli uomini nel Genesi avessero costruito un’agape invece di costruire una torre, Dio non li avrebbe rimproverati… se avessero costruito un’agape, una sala, per ritrovarsi tutti insieme, sempre nell’amore, non sarebbero stati rimproverati da Dio e non avrebbero avuto la confusione delle lingue… Voglio un’agape, non voglio una torre’. Vedrei Sargolini in tre prospettive del cattolicesimo moderno:

  1. Il passaggio dall’io alla comunità – credeva nel laico… Il laico non conta quasi niente, ancora, nel vivo della Chiesa, nel vivo della responsabilità, della corresponsabilità. Ebbene, in questo rapporto Monsignor Sargolini era veramente un anticipatore, un profeta, capiva che le cose erano diverse, capiva che le responsabilità dei laici nel loro campo, che l’impegno loro in qualunque potesse essere il settore della loro vocazione, era qualcosa che doveva assolutamente cambiare. Noi sentivamo che lui ci capiva…. Credeva nel laico. Credeva, profondamente, nel pieno della sua azione, mai interferiva con le responsabilità di ognuno. Era veramente un angelo, era la Chiesa vicino a noi. Io non ho mai visto un sacerdote più comprensivo, e più capace di esprimere le forze laiche, di lanciarle e di essere felice di vederle agire. Non era orgoglioso nella sua azione, non era clericale, era umile, era semplice, era un prete veramente adatto a superare la crisi del clericalismo.
  2. Il passaggio dal dono alla vita – Il giovane di oggi non chiede alla Chiesa di risolvere i problemi, no, non lo chiede, perché se la Chiesa fosse capace di risolvere i problemi, vuol dire che è potente. Il giovane di oggi preferisce la povertà della Chiesa, ma chiede che la Chiesa sia povera, chiede che la Chiesa sia lei accanto… non tanto con il dono che tocca oramai ai governi – ecco una frase che diceva sempre Monsignor Sargolini: ‘tocca ai governi risolvere questi problemi, a noi di essere i sacerdoti, a noi di essere il messaggio’.
  3. Il senso del mistero – Non l’ha voluto, e non lo cercava. Ma senza volerlo e senza cercarlo, anche lui era profeta come tanti sacerdoti di quel tempo. Il mistero, non la ragione. Non ho mai sentito Monsignor Sargolini mettersi a discutere con me sull’Eucarestia. Non l’ho mai sentito fare un catechismo complicato. Era immediato. Per lui, era il Mistero. Non posso capire come Dio ha creato il mondo, non cerco di capire, cerco di credere. Non posso capire come Gesù sia nell’Eucarestia, non cerco di capire, cerco di credere. Non posso spiegare perché mi son fatto prete, cerco di credere. Non ho mai fatto una discussione sul celibato, e pochi preti vicino a me mi hanno dato il senso della verginità, come Monsignor Sargolini. Portava il suo celibato con una signorilità, con una delicatezza, che era impressionante… Ecco il punto in cui eravamo veramente amici, in cui l’un l’altro ci si dava… l’Eucarestia”. Prete dei giovani Ho studiato il profilo di Mons. Sargolini per coglierne il segreto di “prete dei giovani”, “un po’ mamma e un po’ monsignore”: uomo di Chiesa e di umanità condivisa, testimone di unità e obbedienza fino all’estremo, delicato e tenace formatore di coscienze. Innamorato della propria vocazione sacerdotale e capaci di venerazione per il sacerdozio battesimale di laici, sposi, giovani e adulti. Sempre presente e attivo, ma mai ingombrante e fastidioso: un modello di equilibrio per gli assistenti nelle aggregazioni laicali. Coi giovani, sempre, ma senza indulgere a giovanilismi. Una testimonianza di come l’Associazione non possa fare a meno dell’Assistente, pur senza cadere in dipendenze infantili. Per formare giovani impegnati nell’integrazione tra fede e vita, con slancio apostolico sempre nuovo.

ANTONIO NAPOLIONI, vescovo di Cremona