«Non diciamo che oggi è più difficile;
è diverso. Impariamo piuttosto
dai santi che ci hanno preceduto
ed hanno affrontato le difficoltà
proprie della loro epoca».
Francesco nasce a Pirano il 7 settembre 1912 da Giovanni Bonifacio e Luigia Busdon. È secondogenito di sette tra fratelli e sorelle. La famiglia, semplice e povera, vive in decorosa modestia, in intensa laboriosità e in sereno abbandono al Signore. La chiesa di San Francesco, officiata dai frati francescani conventuali, è il centro della loro vita religiosa.
Qui Francesco viene preparato ai sacramenti ed è chierichetto assiduo ed esemplare. D’estate, durante le vacanze, frequenta l’oratorio Domenico Savio e il circolo San Giorgio, prima come aspirante e poi come effettivo di Azione cattolica. La confessione settimanale e la comunione quotidiana ritmano la sua vita. Avverte così fin da piccolo la vocazione al sacerdozio. Incoraggiato dal parroco monsignor Giorgio Maraspin, entra nel seminario interdiocesano minore di Capodistria nel 1924. La sua vita di seminarista è caratterizzata da obbedienza ai superiori, rispetto, ma anche riservatezza con i condiscepoli, disponibilità ad aiutare tutti, apertura all’amicizia.
Monsignor Carlo Magotti, arcivescovo di Gorizia e amministratore apostolico di Trieste e Capodistria, gli conferisce il 27 dicembre 1936, nella cattedrale di San Giusto, l’ordine sacerdotale. Il 3 gennaio 1937 nel duomo di San Giorgio di Pirano celebra la sua prima messa solenne e inizia il suo primo breve incarico pastorale. Il primo aprile 1937 viene trasferito a Cittanova, dove rimane circa due anni, svolgendo il suo impegno pastorale nell’insegnamento del catechismo, nel contatto con i giovani (Azione cattolica giovanile, filodrammatica, attività ricreative), nei rapporti con la gente comune (pescatori, agricoltori, anziani, ammalati, poveri). Il primo luglio 1939 viene nominato cappellano di Villa Gardossi. La curazia conta circa milletrecento anime, è costituita da tante piccole frazioni o casolari sparsi su di un territorio collinare tra Buie e Grisignana. Don Francesco si stabilisce con la mamma, il fratello Giovanni, la sorella Romana e, temporaneamente d’estate, la nipote Luciana Fonda.
Il suo impegno pastorale si estende sistematicamente a tutta la realtà parrocchiale. A piedi (talvolta in bicicletta), ogni pomeriggio, raggiunge le frazioni più lontane e i casolari più remoti. Insegna la dottrina a gruppi di bambini nei luoghi più isolati. Visita le case dei poveri, portando qualche aiuto sottratto perfino al modesto desco familiare; bussa con il bastone alle porte degli anziani e degli ammalati, chiede notizie dei sofferenti.
Negli anni difficili dopo l’8 settembre 1943, la popolazione dell’Istria, stretta tra gli occupatori tedeschi e il fronte titino di liberazione, vive momenti di grossa difficoltà e don Bonifacio si prodiga per soccorrere tutti, per impedire esecuzioni sommarie, per difendere persone e cose.
Negli anni dell’amministrazione jugoslava, la propaganda antireligiosa viene sostenuta a tutti i livelli. Il culmine verrà raggiunto con l’aggressione a Capodistria del vescovo monsignor Santin e l’uccisione a Lanischie di don Miro Buleši nel 1947. Il servizio pastorale di don Bonifacio viene fortemente limitato, ma polarizza attorno a sé la popolazione, soprattutto i giovani. È un prete scomodo e perciò deve essere eliminato.
L’11 settembre 1946, dopo essersi recato a Grisignana per la confessione, ritorna verso casa. Lungo la strada – come confermato da parecchi testimoni – viene avvicinato e fermato da alcune guardie popolari e da alcuni soldati jugoslavi. Poi spariscono nel bosco.
È stato beatificato il 4 ottobre 2008, a Trieste.
«Non diciamo che oggi è più difficile;
è diverso. Impariamo piuttosto
dai santi che ci hanno preceduto
ed hanno affrontato le difficoltà
proprie della loro epoca».